Le regioni agrarie, risalenti all’ordinamento circoscrizionale geo-agrario effettuato nel 1958 con finalità statistiche, intendono raffigurare suddivisioni territoriali omogenee costituite da comuni confinanti, all’interno della stessa provincia, i cui terreni dovrebbero caratterizzarsi per continuità naturale e geomorfologica (clima, geologia, rilievo ecc.) e utilizzazioni agricole similari. Esse rappresentano uno dei livelli territoriali utilizzati dall’Istat per l’acquisizione di dati statistici economici in campo agricolo.
Secondo l’ISTAT in particolare la regione agraria è costituita da gruppi di comuni secondo regole di continuità territoriale omogenee in relazione a determinate caratteristiche naturali ed agrarie e, successivamente, aggregati per zona altimetrica.
Tuttavia, le regioni agrarie attuali risultano in molti casi non più rispondenti alle finalità originarie, vuoi per una individuazione iniziale non del tutto ottimale, vuoi perché nel corso dei decenni la situazione amministrativa a livello territoriale ha visto la soppressione, aggregazione o creazione di comuni e la costituzione di province, vuoi perché la situazione economica e lo stesso assetto geomorfologico del territorio hanno subìto costanti evoluzioni nel tempo.
Oggi le regioni agrarie si presentano in molti casi non più rispondenti alla loro originaria funzione, con la conseguenza che i valori agricoli medi delineati al loro interno spesso rappresentano una mera quantificazione astratta prima di quella omogeneità che dovrebbe caratterizzarli.
Per questa ragione il Comitato Scientifico del CNCPE ha sul tavolo lo studio di una riforma delle regioni agrarie, con il coinvolgimento di soggetti come CREA (ex-INEA) che si avvalgono per le loro funzioni istituzionali delle regioni agrarie.